lunedì 29 settembre 2014

Il video della settimana - 40/2014 - Equipe 84

Banale ma bello. "Ventinove settembre" scritta dal divino duo Mogol-Battisti ed interpretata dall'Equipe 84 (1967).

Tra l'altro non sembra, ma seguo il filo conduttore della settimana scorsa: questa è ufficialmente la prima canzone italiana rock-psichedelica.

Al di là delle definizioni è una canzone unica nel suo genere, c'è il famoso parlato giornalistico in sottofondo, racconta del tradimento di una notte senza tanti rimorsi.
Il 30 settembre si volta pagina.


L'Equipe 84 è stato un complesso (si diceva così) musicale italiano che pur durando tutt'ora ha avuto il suo momento migliore proprio dal 1967 al 1970.
La formazione è stata rimaneggiata più volte, purtroppo ci sono stati anche dei decessi e comunque resta nell'immaginario collettivo il gruppo di Maurizio Vandelli e Victor Sogliani.

Si usava allora fare le cover in italiano dei successi inglesi o americani.

Io amo molto "Tutta mia la città" versione italiana di Blackberry Way.
Perchè se il testo lo scrive Mogol, lascia il segno per forza!


sabato 27 settembre 2014

I bianchi e i neri nelle foto - Gordon Parks



In extremis - domani chiude - siamo andati finalmente a visitare la mostra fotografica “Una storia americana” al Centro Internazionale di Fotografia Scavi Scaligeri.

Io non finirò mai di complimentarmi abbastanza con i responsabili delle varie mostre che abbiamo visitato presso questo centro, perché mai ci hanno deluso, anzi ci hanno lasciato spesso senza parole per l’ammirazione.


 
Questa mattina abbiamo conosciuto meglio il lavoro di Gordon Parks, primo fotografo afroamericano a lavorare per la rivista Life, ma non solo: regista, poeta, musicista e scrittore che ha raccontato l’America dei contrasti razziali, della povertà, delle lotte per i diritti civili, ma anche il mondo della moda – ha collaborato con Vogue – e quello dell’arte e del cinema.

Quest’uomo sapeva quello che faceva. 
Le sue foto non sono solo foto: sono un racconto.
Ogni scatto racchiude una storia o almeno una domanda o una provocazione. 

Non ti può lasciare indifferente.



Oltre a questo, o prima di questo, c’è una tecnica sopraffina: inquadratura, composizione, contrasto e luce.
Il suo istinto fotografico  (mi rifiuto di pensare che studiasse ogni scatto) era innato.




Tra l’altro nei suoi reportage curava anche la parte narrativa e quindi interagiva con i soggetti delle sue foto, si faceva ospitare, raccontare la loro quotidianità, instaurava un rapporto che è ben leggibile in ogni foto.

Certi sguardi, l’intimità delle povere case, le speranze e i dolori sono tutti lì, per noi, dopo più di sessant’anni.



Così come le foto delle modelle di Vogue o di Ingrid Bergman e Marilyn Monroe: le conosceva, le ascoltava, era una persona di cui si fidavano.  Si vede.

Ho adorato questa mostra. 
Il mio rispetto per i fotografi della vecchia guardia è uscito, se possibile, ancora più rafforzato.
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venerdì 26 settembre 2014

Il nonno terrone



Nonno Alfredo e nonna Elisa incinta di mio padre
Che se il presente non offre spunti né fatti particolarmente piacevoli da commentare ci si può buttare sul passato.

Racconterò di mio nonno paterno. 

Lo faccio soprattutto per me, così, tanto per fissare sulla carta qualcosa che altrimenti andrebbe perso per sempre come quasi tutti i ricordi delle persone comuni che sono morte da tanto tempo.

Era un ragazzo del ’99 che significa uno di quelli che poi hanno combattuto la Prima Guerra Mondiale. 
Nel suo caso era anche Cavaliere di Vittorio Veneto e aveva la sua brava medaglia incorniciata appesa nel salotto buono.


Nato a Lucera in provincia di Foggia, figlio e nipote di farmacisti, era un impiegato statale, precisamente dell’Ufficio delle Imposte. Penso fosse il posto ideale per lui…

Questo fatto che io ho un 25% di sangue terrone ha sempre provocato battutine e commenti a volte anche spiacevoli, dato che vivo a Verona che è una delle città più “integraliste” in questo senso. 

Il bello è che anch’io le faccio sugli altri perché quando si cresce in un posto così è difficile esimersi…
Ma, tanto per puntualizzare, qui pugliese è meglio che campano, per esempio, o siciliano… In ogni caso terrone resta.

E come ci arriva un terrone qui al nord? 
Mi mancano tutti i dettagli. 
Non so se per una richiesta in seguito al fatto di aver combattuto in Friuli o per un caso, fatto sta che il nonno viene trasferito a San Daniele del Friuli all’inizio degli anni ’20.

Lì conosce mia nonna, una ragazza ambiziosa (così si racconta) che punta all’impiegato con il posto sicuro e si fa mettere incinta. 

Sì, perché un lavoro statale all’epoca permetteva di vivere agiatamente, con tanto di cameriera fissa e lei proveniva da una famiglia di contadini.

Sì sposano in gran fretta e nel novembre del 1923 nasce mio padre.

Poi nascono altri due bambini, l’ultimo a Vittorio Veneto, dove nel frattempo si erano spostati e poi il definitivo trasferimento a Verona.

Il nonno era molto piccolo di statura, moro con due grandi occhi azzurri. 
Raccontava, come fosse una certezza assoluta, che questo era dovuto ai suoi antenati normanni.

Era una persona che definire parsimoniosa è un complimento.  
Dopo la prematura morte di mia nonna si risposò con una collega che fece del risparmio la loro missione di vita.

Io lo ricordo già anziano che partiva con la sua Vespa per andare a fare la spesa in tre o quattro posti diversi per cercare i prezzi migliori.

Indossava delle camicie con il colletto staccabile che metteva solo la domenica, giorno in cui si faceva anche la barba.
Infatti quando ci vedevamo tra settimana i suoi baci erano sempre “rasposi” sulle mie guance.

Mia nonna, o meglio la mia “nonnigna”, invece indossava sempre delle maglie lavorate a ferri unendo la lana di altre maglie disfatte. Mai vista con qualcosa che non fosse color “melange”.

Insomma il nonno in questo modo comprò tre appartamenti e passava il suo tempo di pensionato a tenere la contabilità e a tormentare gli inquilini se ritardavano di un giorno il pagamento dell’affitto.

Per dire, mio padre, quando io ero piccola, gli chiese un prestito perché avevamo cambiato casa e voleva comprare alcuni mobili nuovi, e lui gli fece 5 cambiali tanto per non rischiare…

Abitavamo vicini, noi in via Quarto e loro in via Marsala (quartiere garibaldino la Valdonega…) ed io venivo lasciata qualche volta a casa loro se mia madre aveva degli impegni.

Ricordo il salotto con due poltrone ancora con il cellophane e un ficus di plastica in mezzo.
Buffet e controbuffet con delle ante verdine e un tavolo dove non ha mai pranzato nessuno.

Si stava in cucina, dove c’era sempre una pentola con il brodo a raffreddare su un sottopentola di alluminio.

La nonna mi insegnava a lavorare ad uncinetto, a fare presine e centrini.
Unico divertimento una Matriosca che mio zio aveva portato da un suo viaggio di lavoro in Russia.

Il nonno non aveva mai perso il suo accento terrone ma voleva parlare in dialetto con risultati spesso esilaranti.
Mitico il suo “massa tanto” dove “massa” in veronese vuol già dire “troppo” e quindi la parola “tanto” è in più.

La sua mancia per il mio compleanno e per Natale è sempre stata di 2000 lire.
L’inflazione in questo caso non è mai esistita.

Quando è morto aveva 87 anni ed era andato in moto fino a poche settimane prima. 

C’erano i miei con lui e mia madre mi raccontò che fu la prima e ultima volta che vide piangere mio padre.
Tutto qui, niente di epico, ma stamattina mi andava di ricordarlo.
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lunedì 22 settembre 2014

Plagio involontario





Vi racconto una bella storiella.

Nell’ottobre dello scorso anno sono andata con marito e figlia ad una rievocazione storica presso il castello di Marostica.

Ne avevo parlato proprio in un post dedicato alla Foto della Domenica.



La nostra amica Monica del blog Viaggi & Baci ci aveva invitato sapendo quanto siamo appassionati di fotografia.
Infatti l’evento prevedeva che ogni partecipante registrato scattasse delle foto da inviare agli organizzatori per partecipare ad un concorso.

Fatto sta che io e mia figlia abbiamo scattato delle foto istantanee, tanto per condividerle subito con i figuranti, mentre mio marito armato della sua Canon Mark II si è dedicato ad un vero e proprio reportage di decine e decine di scatti.

La sera stessa ho scritto il post corredato da 4 foto che mio marito aveva appena scaricato sul computer, senza sceglierle nemmeno con grande cura. 
Giusto per documentare la giornata.

Ho mandato il link del mio post agli organizzatori per ringraziarli e complimentarmi per la bella iniziativa, promettendo che entro i termini previsti sia io che mio marito e mia figlia avremmo spedito il nostro scatto per il concorso.

In realtà i mesi sono passati e nessuno di noi si è più ricordato di spedire le foto.

Il primo luglio ricevo una mail della Giuria Ufficiale del concorso “Immagini dal medioevo” che mi comunica di essere arrivata quinta e di avere perciò diritto ad un pass stampa per la famosa Partita a Scacchi che si terrà il 12/13/14 settembre.

Le opere ammesse sono state 20 e sono state premiate le prime 6. 
Seguono complimenti e rimandi a futuri contatti per sbrigare le pratiche burocratiche del pass che prevede anche la fornitura di un costume adatto all’ambientazione medioevale dell’evento.

Dopo un primo momento di smarrimento, certa di non aver spedito alcuna foto, tantomeno intitolata Massere al mercato, mi ricordo del post.

Chi ha ricevuto la mia mail con il link ha pensato di far partecipare al concorso le foto inserite nel post, dando per scontato che le avessi scattate io.

Ho subito scritto per chiarire l’equivoco. 
Non sia mai che mi prendo il merito al posto di mio marito.

Insomma, dopo una serie di mail sembrava tutto a posto.   
Mio marito era ancora un po’ seccato, non tanto per il nome sbagliato, ma per essere arrivato solo quinto e non con la foto che avrebbe scelto lui. 
Ma tant’è, il premio era uguale per tutti e quindi importava poco.

Poi accade che siamo coinvolti nel Vintage Festival di Padova, che si è svolto proprio nello stesso weekend della Partita a Scacchi e così altro scambio di mail in cui rinunciamo a malincuore al pass e assicuriamo che comunque andremo a visitare la mostra allestita al castello appena possibile.

Così abbiamo fatto: sabato mattina eravamo a Marostica, un po’ avviliti di fronte alle gradinate vuote nella piazza degli scacchi ma molto felici di rivedere Monica e la sua famiglia.

Entriamo insieme al castello per visitare la mostra e …. eccola  lì, la foto premiata con la sua brava targhetta dorata col nome dell’autore…. sbagliato!


Niente, non c’è stato nulla da fare.   
10 mail non sono bastate a dare a Cesare quel che è di Cesare (o a Massimo quel che è di Massimo)!

E per fortuna che mio marito non è potuto andare alla Partita, perché mi sa che al posto di un abito da cavaliere avrebbe trovato quello per una dama di corte e allora sì che ci sarebbe stato da ridere!
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Il video della settimana - 39/2014 - The Alan Parsons Project

Ascoltavo in questi giorni i mitici Pink Floyd e così, per associazione di idee ho ripensato ad un altro gruppo che negli anni d'oro del progressive rock mi piaceva tantissimo: Alan Parsons Project.

Avevano una formazione anomala: un tecnico del suono, Alan Parsons appunto e un avvocato Eric Woolfson e poi di volta in volta, orchestre e cantanti diversi.

Uscivano solo con dei concept album, dove un filo conduttore univa tutti i pezzi, molti dei quali solo strumentali ed eseguiti in modo elettronico.

Io ho adorato Pyramid e Eye in the sky.
Conosco ancora le parole a memoria ed ogni volta che li ascolto faccio un viaggio nel tempo e nello spazio, dove lo spazio è inteso proprio come altri pianeti, stelle e assenza di gravità...







giovedì 18 settembre 2014

Alienazione




La mia serata di ieri: due ore a ricoprire i testi scolastici di mia figlia mentre uno stupido film con Jennifer Lopez scorreva in sottofondo.

E’ liberatorio confessare le proprie debolezze: ebbene sì, io mi rilasso ricoprendo con perizia i libri. 




Compro i rotoli di pellicola trasparente e li ritaglio a misura.
Niente di preconfezionato. Non vale.

Ripiego le parti in eccesso all’interno, attacco la sua brava etichetta bianca sul davanti e guardo soddisfatta la pila salire.

Questo fin dalla prima elementare. 
Adesso è in quinta liceo e soffro perché è l’ultimo anno. 
Oppure si possono ricoprire anche i testi universitari?

Lei mi guarda comprensiva, come si fa con i matti che non bisogna contraddire e magnanima dice che non è un lavoro così necessario, anzi.

Ma a me piace farlo. 

Compriamo da sempre libri usati, quando possibile. 
Sono spesso rovinati, pieni di orecchie e piccoli strappi.
Lì io godo: scotch e ferro da stiro alla mano li riporto a nuova vita e poi via con la copertura plasticosa.

Non venitemi a dire che molte cartolerie offrono il servizio di ricopertura a caldo.  Non mi interessa.

Alla fine dell’anno scolastico molti dei costosissimi testi non sono stati neppure aperti. 

I professori spesso distribuiscono fotocopie o attingono dalla rete per spiegare qualche argomento ma la farsa della infinita lista di libri continua ogni anno.

Noi cerchiamo di rivenderli: sono come nuovi.  

Spesso non riusciamo dato che i docenti adottano nuovi testi e quindi i nostri sono inutilizzabili.
Uno spreco di denaro e carta che mi disturba parecchio.

Buttarli non se ne parla. Accumuliamo. 
Non so neppure io per chi o per cosa.
Ma i libri non si possono buttare (salvo quelli tributari, che si possono bruciare impunemente per scaldarsi, cit. “The day after tomorrow”…).

Non ho ancora finito: oggi mi aspettano i due volumi di filosofia e Lezioni di letteratura latina. 

Nel frattempo li sfoglio pure: sono materie che una perita aziendale come me non ha mai neppure sfiorato. 
Mi perdo tra gli argomenti e penso alla asincronia tra obbligo e desiderio di studiare, in mezzo ci passano vent’anni buoni.

Di “Chimica – concetti e modelli” mi affascina solo la copertina: una tavoletta di cioccolato fondente con i simboli degli elementi incisi su ogni quadrotto…

Rosa fresca aulentissima: questo è un bel titolo, musicale e gioioso. 
Su uno dei volumi c’è Charlie Chaplin che porge un fiore ad una ragazza.

Fatemi dare un’occhiata, dai….
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