Anche se è un po’ che non scrivo non pensiate che non stia
rimuginando su vari argomenti!
Prendo mentalmente
appunti e mi riprometto di esternare come una volta tutte le mie considerazioni
sui “guasti” che mi circondano.
Adesso, anzi, già da stanotte, mi sto arrovellando sull’analogia
che ho trovato tra fotografia e cibo o meglio sulla percezione che ne abbiamo
oggi rispetto ad anni fa.
Come ho raccontato più volte mio padre era un discreto
fotoamatore.
A casa nostra c’è sempre stata la camera oscura ed i litigi sui
soldi spesi in macchine fotografiche e sulle ore passate lì dentro erano
frequenti tra i miei genitori.
Ma la mia realtà era un’eccezione.
Diciamo che negli anni ’60 avevamo queste categorie: grandi
fotografi conosciuti da tutti (Cartier-Bresson, Avedon, Adams ecc.), i
fotografi professionisti nei diversi settori, dalla moda allo
sport, passando per i documentaristi e altro, conosciuti dagli addetti ai
lavori, i fotografi da cerimonie e ritratti, conosciuti nella loro città ai
quali ci si rivolgeva dando cieca fiducia e pagandoli profumatamente, i
fotoamatori che frequentavano i circoli e tornavano a casa puzzando di fumo
come mio padre e poi il resto del mondo, cioè quelli che compravano due rullini
quando andavano in ferie e un altro che gli durava tutto il resto dell’anno.
Facevano le foto ricordo.
Quelle che era bello sfogliare in
famiglia, magari tediando i malcapitati ospiti.
Anche il cibo era concepito in modo diverso.
C’erano i grandi ristoranti, io mi ricordo solo Chez Maxim a
Parigi (ero troppo piccola per ricordare nomi di chef) o i 12 Apostoli qui a
Verona, poi c’erano ristoranti e trattorie che si distinguevano dall’appellativo
“se magna ben” o “se magna mal”, poi c’erano i pranzi in famiglia dove poteva
avvenire che si chiedesse la ricetta delle lasagne alla zia o della torta alla
nonna e quella era l’unica occasione in cui si parlava di dosi e modalità di
cottura.
La cosa più esotica era l’ananas nella fruttiera.
L’unico critico gastronomico che ricordo era Luigi Veronelli
e pochi avevano l’ardire di contraddirlo.
Avete già capito dove voglio arrivare…
Oggi siamo tutti critici fotografici e gastronomici, ma
nello stesso tempo anche professionisti dello scatto e del soffritto, saputelli
e convinti di essere circondati da incompetenti o peggio di essere noi dei geni
incompresi.
Frequento forum e vedo molte trasmissioni televisive sull’argomento
e trovo sempre una quantità impressionante di supponenza, maleducazione, arroganza,
e soprattutto mancanza di basi, di gavetta, di effettivo genio che distingua il
grande artista dall’onesto artigiano, quando va bene.
Ma a tutte queste persone è dato spazio, visibilità, credito.
Milioni di foto sono quotidianamente caricate in rete, molte
con il nome dell’autore preceduto da Ph, in decine di trasmissioni a tema cibo centinaia di cuochi dilettanti
propinano piatti improbabili a chef inorriditi, non si accettano critiche ne’
pacati suggerimenti (vedi l'ultimo vincitore di Masterchef Italia)
Ho letto basita un acceso scambio di commenti tra Settimio Benedusi
e qualche illustre sconosciuto che non accettava la sua opinione sulle troppe
foto che girano di gattini, tramonti e modelle tatuate col culo per aria.
Non sei d’accordo? Benissimo, però cerca almeno di argomentare con cognizione di causa.
No,
dicevano che anche loro sarebbero famosi se avessero a disposizione set,
modelle e attrezzature al top come lui…
Leggo commenti alle magnifiche foto di Giovanni Gastel (che
io adoro) dove si disquisisce perfino sulla vita privata dei soggetti ritratti
o si liquida lo scatto con un “banale, da te mi aspettavo di più” (tra artisti ci si dà del tu, ovviamente).
Probabilmente avere ottenuto qualche decina di “like” su
Flickr o Instagram autorizza questa pletora di imbecilli a parlare a vanvera
senza rispetto per la professionalità di chi mastica di fotografia da decenni.
Ma guarda e impara!
É stancante assistere a queste continue polemiche, al
quarto d’ora di celebrità di pomposi dilettanti, a questa corsa al consenso e
alla notorietà a scapito della qualità, delle regole di base, senza pazienza e
senza umiltà.
Mi sono scoperta a desiderare un coppapasta. Attrezzo del quale fino a poco tempo fa
ignoravo perfino l’esistenza. Conosco il pepe di sichuan e forse un giorno
preparerò del gelato usando il ghiaccio secco.
Che anch’io stia abbracciando il lato oscuro? Farò vedere a Heston Blumenthal chi è più
bravo…
.
.
.